
SOFIA USLENGHI
L'arte dell'autoritratto
Oggi torniamo a parlare di fotografia con una giovane protagonista di lavori decisamente affascinanti e coraggiosi.
Si tratta di Sofia Gentile Uslenghi, artista dedita all'autoritratto come forma di esplorazione di sé.
Sofia ci ha concesso questa interessante intervista, nella quale ci apre le porte del suo processo creativo, rivelandoci interessanti particolari sulla nascita ed evoluzione delle sue opere e sulla sperimentazione necessaria alla loro realizzazione.
CFFC - Ciao Sofia, benvenuta in CFFC. Nei tuoi autoritratti questi “mix & match” lavorano in armonia per tenere insieme il filo del racconto puntando dal punto di vista estetico: immaginiamo che dietro tutto ciò ci sia una continua sperimentazione e ricerca di stimoli. Potresti raccontarci di qualche esperimento non andato come ti immaginavi e come ti abbia fatta crescere nella fotografia?

S.G.U. - Dal punto di vista della genesi dei miei progetti fotografici spesso, o forse sempre, tutto nasce partendo da un’idea o da un’intuizione che poi si trasforma nella fase di realizzazione.
Gli input, spesso sconnessi, generano l’intenzione di mettermi davanti alla macchina fotografica, ma spesso con idee ancora confuse.
Nello specifico il discorso dei “mix & match” che sono un po’ il filo conduttore dei miei lavori parte dalla necessità di fotografarmi e poi in realtà l’aggiungere elementi serve per scaricare l’immagine finale della mia presenza. L’operazione di aggiungere altro per togliere importanza al soggetto e bilanciare con un’estetica o con una storia.
Forse è per questo che i primi progetti sono tutti in bianco e nero, perché volevo togliere informazioni sulla mia immagine per non essere troppo invadente.
La prima volta che ho sperimentato il colore è stato con il progetto Maps, nel quale agli autoritratti ho sovrapposto immagini satellitari dei luoghi dove ho trascorso i primi anni di vita. Ero un po’ riluttante, poi il risultato un po’ astratto delle macchie di colore sul corpo mi ha fatto fare un passo in avanti, o di lato, comunque ha portato a un cambiamento di rotta.
CFFC - Come l’autoritratto, così particolare e unico nel prodotto finale, contribuisce a costruire la tua identità di fotografa?
S.G.U. - Fare fotografie per me è nato come una necessità che esiste a prescindere dall’essere riconosciuta come fotografa. Nel senso che il mio sodalizio con la macchina fotografica è nato in un momento in cui cercavo disperatamente un mio mondo slegato da obblighi e necessità pratiche (come la scuola, l’università, o dopo il bisogno di uno stipendio).
Sono assolutamente lusingata dal fatto che il prodotto di questa mia ricerca sia riconosciuto come fotografia autoriale. Ma l’identità che sto costruendo, partita da quel sentimento di ricerca di un modo per svuotare la testa e incanalare energie e pensieri, è abbastanza autonoma rispetto a un mio volerle dare una direzione.
Per adesso ha funzionato sotto molti aspetti: quello dell’autoanalisi, dello sfogo, ma anche del ritrovarsi a fare parte di una comunità artistica e conoscere persone che stimo e con le quali è nato un rapporto di profonda empatia.
CFFC - Per molti fotografi, la storia personale, le radici, il passato sono un grande bagaglio di ispirazione fotografica. Quanto questi aspetti ti hanno aiutata ma anche messa in difficoltà durante la realizzazione di un progetto fotografico?
S.G.U. - La fotografia, per fortuna, non mi ha mai messo in difficoltà. Anzi, è diventata - sempre più in maniera consapevole- lo strumento per capire ed evolvere le situazioni. Mi serve per trasformare le cose che non so come elaborare o che non capisco bene che effetto abbiano.
E la cosa che mi rende affezionata a questo linguaggio è che ogni volta che vivo qualcosa che so che avrà delle conseguenze emotive c’è sempre la curiosità di capire che impatto avrà sul mio modo di fotografare.
Le radici, la propria storia personale, fanno sicuramente parte dei fatti da rielaborare in chiave emotiva ed adulta, è un bacino piuttosto largo a cui attingere questioni irrisolte, comuni a molti come traslochi, perdite affettive, cambiamenti e rivoluzioni.
L'intervista prosegue dopo la photogallery
CFFC - Quali sono i tuoi punti di riferimento artistici e fotografici e in che modo pensi ti abbiano ispirata per arricchire e migliorare la tua crescita?
S.G.U. - È davvero difficile riconoscere le cose che diventano ispirazione e riferimento in un momento in cui per un motivo o per un altro siamo bombardati da una quantità incalcolabile di immagini e input visivi.
Forse il mescolone che ne viene fuori, filtrato da preferenze estetiche che si uniscono a fattori di interesse personale, restituisce un proprio linguaggio estetico.
Sicuramente ho molta attrazione nei confronti della pittura, in questo momento sto leggendo molto del Surrealismo, senza soffermarmi molto sul risultato artistico ma analizzando le vite degli artisti, alle motivazioni che hanno smosso i protagonisti a rincorrere un certo tipo di risultato.
Trovo molto affascinante come gli artisti di inizio Novecento e poi più avanti abbiano cercato di inserire gli aspetti dell’inconscio, degli inizi della psicologia, dentro l’arte. Il momento, i fattori e le modalità con cui si è iniziato ad utilizzare le arti visive come strumento di comunicazione a prescindere dalla tecnica.
CFFC - Le tue foto risultano visivamente stimolanti e coraggiose, forse perché, tra le altre cose, letteralmente “ci metti sempre la faccia”. Oltre all'autoritratto, una costante di tutti i tuoi scatti, hai dei progetti che vedono altre persone protagoniste? Nella tua esperienza in che modo pensi che l’approccio fotografico cambi a seconda che si scelga di fotografare sé stessi e gli altri?
S.G.U. - Non ho mai fatto progetti che comprendessero altre persone a parte me stessa. Trovo che sia un mio limite, anche senza avere l’ambizione a riuscire a fare tutti i tipi di fotografia possibili.
Il modo in cui ho imparato a fotografare prevede un tempo di conoscenza troppo lungo per ritrarre nell’arco di qualche ora qualcuno che non ho mai visto prima. Poi mi è capitato di farlo e ho avuto l’ansia del risultato, soprattutto quella di soddisfare la persona che mi stava davanti, che si piacesse e si riconoscesse nel risultato. E credo che questa paura vada superata per produrre un risultato coerente con la propria visione e svincolato dall’ansia del giudizio altrui.
E quindi è una sfida, che spero di affrontare prima o poi.
CFFC - Puoi raccontarci un aneddoto fotografico simpatico avvenuto in qualche sessione di scatto realizzata da sola o in collaborazione?
S.G.U. - Per i miei progetti mi fotografo sempre in situazioni di assoluta solitudine, non ci deve essere nessuno in casa, dove lavoro.
Ovviamente capita molto spesso che il pulsante di scatto remoto parta nel momento in cui sto cantando, ho preso lo spigolo di un mobile con il mignolo del piede o stia rovinosamente cadendo alla ricerca di un movimento del corpo mal riuscito. Ho cartelle piene di immagini “di backstage” molto ridicole, che tengo perché sono divertenti e stanno diventando un corpo di fotografie abbastanza corposo da, chissà magari un giorno, farci un progetto a sé.CFFC - La nostra percezione di te è quella di un'artista il cui flusso creativo sia in continuo divenire: siamo però curiosi di sapere quale dei tuoi progetti pensi ti rappresenti maggiormente e perché.
S.G.U. - Come mi ha fatto notare un altro fotografo poco tempo fa, gli artisti sono spesso convinti che solo l’ultima idea sia la strada giusta. Ovviamente quella convinzione viene immediatamente sostituita dall’idea successiva, anche a livello di linguaggio ed estetica.
Forse però il progetto al quale sono più affezionata è “My grandmother and I” perché nel farlo e nel comporre i miei autoritratti con le fotografie di mia nonna sentivo una grande carica emotiva ed affettiva, e anche un bisogno molto potente nel riunificare quello che per motivi di forza maggiore non poteva essere riunito. E anche perché per la prima volta forse ho visto nella commozione di mia madre di aver fatto centro.
La nostra chiacchierata con Sofia termina qui e a lei vanno i più sentiti ringraziamenti per aver soddisfatto tutte le nostre (e speriamo anche vostre) curiosità.
Se siete curiosi di approfondire ulteriormente il suo lavoro la trovate su Instagram come @sofia_uslenghi, oppure potete visitare il suo sito internet sofiauslenghi.it/.